Apri tutto!

Grigio Hashtag Vista dall'alto Caffè Post di Facebook“Biascica apri tutto”. Quante volte abbiamo riso ascoltando questa battuta del regista René Ferretti, protagonista della serie TV Boris.

Smarmella, diceva René, alias Pannofino, quando si arrendeva a un quel bagliore diffuso tipico delle telenovelas, a una fotografia “che fa schifo ma è giusto così perché, se la fotografia è più bella della pubblicità, poi cambiano canale”.  E noi non vogliamo che la gente cambi canale. 

Ci prova Renè, vorrebbe fare le cose fatte bene ma poi capisce che non ha il budget, non ha gli attori, non ha un copione da seguire e alla fine si arrende e chiede a Biascica di “smarmellare”.
Apre perché tanto è così che deve andare. Lo scenario di Boris rappresenta ciò che sta succedendo oggi: qualcuno prova a fare qualcosa, tutti parlano, tutti dicono la loro tranne quelli che dovrebbero.
E allora tutto si rimescola, tutto torna possibile, il peggior attore diventa un eroe, il miglior assistente è un cretino perché s’impegna troppo, il meno visibile lavora per tutti e, alla fine, il regista accetta il compromesso perché “un’altra TV non è possibile”.

Non è possibile perché quella è una metafora, un modo come un altro per descrivere il pressapochismo che ci accompagna da secoli motivo per il quale decide di abbandonare la qualità e opta per il lassismo certo che quello sarà la soluzione, l’unica via di uscita.

Ma cosa c’entra Boris con il Coronavirus? C’entra eccome. Innanzitutto perché, dopo settimane di indecisione, di richieste di uscire dalla zona rossa, è stata finalmente definita una via da seguire: la chiusura. Non è stato semplice: contrattazioni, malumori, tanti gli attori ma alla fine è andata così. Ma cosa succede a pochi giorni dalla riuscita del progetto? Si rimescolano le carte e si chiede di aprire tutto. Di ricominciare. Non importa se allo stato attuale non c’è alcun modello, un Paese che ci dimostri che la tecnica del tenere aperto risolva il virus, ma lo si richiede comunque (Germania a parte che propone un test per analizzare chi ha sviluppato gli anticorpi e ipotizza un lasciapassare per tornare a lavorare).

Non importa se  è rimasto un solo leader a definire il virus una “mera influenza”, il Brasile con Bolsonaro che esorta la popolazione a lavorare definendo coloro che si rifiutano dei “codardi” senza intraprendere alcuna misura preventiva. (In realtà anche la Svezia non ha imposto limitazioni – a parte scuole e Università chiuse e assembramenti oltre le 500 persone ma per ora con 33 decessi e la popolazione che tace non ci sono elementi per valutare).

In ogni caso non siamo noi a decidere: è lui, l’invisibile. Quel virus capace di ribaltare la politica e paradigmi  E così i messicani sparigliano le carte e pensano di utilizzare il muro per difendersi dagli statunitensi affetti da Coronavirus mentre il crimine organizzato impone  il coprifuoco in Brasile prendendo quelle misure che, invece, dovrebbero adottare coloro che stanno dalla parte dei cittadini.

E allora Fora Bolsonaro urla la gente dai balconi. Lì non si canta, si urla, s’inforcano i mestoli, si sbattono le pentole, si suonano i clacson per rendere visibile la protesta contro il nemico: il virus e Bolsonaro.

Ma se è vero che non possiamo rimediare al passato e che “del senno del poi son piene le fosse” per citare le parole del Manzoni citato da Conte in conferenza stampa, è anche vero che forse potremmo imparare la lezione.

E qui inizia la storia di apri tutto. Oppure apri un po’, ma apri, afferma Renzi contrapponendosi alle decisioni del governo tentando una riconquista degli imprenditori, di Confindustria che chiede di ricominciare.  Anche se sarebbe da porre a Renzi la stessa domanda posta a Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria durante Piazza Pulita: “Se neanche i medici hanno le mascherine, come pensiamo di trovarle per tutti i lavoratori e farli tornare a lavorare?”. E chi lo sa.

Ma facciamo qualche passo indietro per capire la situazione.

Torniamo al 23 febbraio ad Alzano Lombardo, un comune italiano della provincia di Bergamo. Per farlo, riporto le parole di una lettera inviata da due operatori sanitari al quotidiano Avvenire. “Quel pomeriggio, due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio di Codogno, vengono accertati due casi positivi di Covid19 all’ospedale Pesenti Fenaroli, almeno uno di loro passa dal pronto soccorso, un luogo angusto e affollato. L’ospedale viene immediatamente chiuso, per poi riaprire alcune ore dopo, senza che ci sia stato “nessun intervento di sanificazione e senza la costituzione nel pronto soccorso di triage differenziati né di percorsi alternativi (…). Nei giorni successivi si apprende che diversi operatori, sia medici che infermieri, risultano positivi ai tamponi per Covid19, molti di loro sono sintomatici”

E l’inizio del collasso, da lì a poco segue anche Nembro, un paese vicino ad Alzano che vedrà l’aumento esponenziale dei positivi.  Ci saranno le conseguenze della partita Atalanta- Valencia con positivi italiani e spagnoli e molto altro. Ricciardi

Ma andiamo al 27 febbraio, a 58 giorni da quel famoso 31 dicembre 2019 in cui i cinesi informano l’OMS in merito a strane polmoniti, a 27 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, a 4 giorni dal caso di Alzano Lombardo e 6 giorni dopo Codogno, quando ABI – Coldiretti – Confagricoltura – Confapi – Confindustria – Legacoop – Rete Imprese Italia (Confesercenti, Casartigiani, CNA, Confartigianato Imprese, Confcommercio-Imprese per l’Italia) – Cgil – Cisl – Uil firmano un Comunicato congiunto. In questo si legge: “Dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate e mettere in condizione le imprese e i lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro Made in Italy e il turismo.

Ed ecco che torna il nostro Apri tutto, con una richiesta formale di avviare il Paese verso una rapida normalizzazione, in una fase che può essere descritta in tanti modi tranne che normale. Ma siamo al 27 febbraio e il Paese non si è ancora reso conto del pericolo reale. E allora il 28 febbraio esce il video “Bergamo is running” anche se, a dirla tutta, avrebbe dovuto uscire un “Bergamo is arranching” ma sorvoliamo.

Si tenta con quel video di far ripartire la città, esempio seguito da molti altri. I casi però aumentano, la paura come il contagio dilagano. Il 1° marzo la situazione appare chiara, si arriva a 209 casi a Bergamo. La Lombardia appare già come la regione più colpita.

Sempre il 1° marzo Bonometti, Presidente Confindustria Lombardia rilascia un’intervista a La Stampa. Titolo: “Marco Bonometti: “Così non basta, ora un piano che aiuti tutte le imprese. Presto ci sarà la recessione”.
Dichiara: “D’accordo che prima viene la salute, ma ora bisogna tornare a un clima normale se no il danno economico rischia di superare quello sanitario”.

stampa

E’ il 1° giorno di marzo, 29 giorni fa anche se ci sembra siano passati secoli e il peggio doveva ancora arrivare. Dovremo aspettare l’8 marzo per il decreto che prevede la chiusura della Lombardia e 14 province e l’11 marzo per riconoscere Italia zona da proteggere. Ci vorranno altri 11 giorni per chiudere tutte le attività considerate non essenziali  il 22 marzoIn totale quasi 3 mesi per mettere il Paese in quarantena.

Bene, ora che siamo riusciti a suon di minacce, di bollettini funesti della Protezione Civile, e lanciafiamme alle feste di laurea, ordinanze su ordinanze che si sommano ad altre ordinanze, si chiede di aprire e sono passati solo 7 giorni dalla chiusura.
Abbiamo impiegato 2 mesi per imparare a stare in fila e ordinati dopo anni di tentavi caduti nel vuoto; da pochissimi giorni gli italiani si sono arresi alla quarantena, ci sono volute conferenze stampa giornaliere per instillare nei cittadini il concetto di sicurezza e prevenzione; siamo riusciti a convincere la popolazione ad uscire solo per fare la spesa e una volta a settimana, abbiamo costretto in casa le persone spiegando che il sacrificio è necessario e ora si propone un’inversione di marcia. In poche parole è come dire grazie per i vostri sforzi ma in realtà è stata una pantomima, non servivano più di tanto.

Cosa abbiamo imparato dalla lezione? Quando da bambini correvamo e ci lanciavamo in avventure e cadevamo, i nostri genitori ci dicevano che cadere, inciampare è una lezione di vita e che gli errori sono la mappa della nostra vita, ci insegnano a percorrere strade che non conosciamo ma forti delle esperienze precedenti. E allora mi domando, cosa ci ha insegnato questa lezione lombarda? Ma soprattutto perché di aperture se ne  ne occupa chi non ha competenze sanitarie, proposta considerata folle dai virologi peraltro.

Renzi

E allora torniamo all’assunto di base, a Boris, al nostro René che si arrende, e dice apri tutto perché tanto un’altra TV non è possibile.

Apri tutto cara Italia perché poi la gente si arrabbia e cambia canale, o cambia preferenza di voto? Per René è andata a finire così, la serie TV si è conclusa e si è arreso pur di lavorare. Ma noi siamo ancora in gioco, abbiamo ancora in mano la matita che può tratteggiare il presente e il futuro e dare una speranza di vita a chi combatte per la vita.

Vogliamo davvero arrenderci anche noi? Oppure un’altra Italia è possibile?

Ma è vero che…?

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“Cinema chiuso finché la vita reale non sembrerà più un film. State al sicuro. Siate gentili”

Infodemia, se ne parla tanto in questi giorni. Secondo Treccani, si può definire come la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.
In poche parole sopraffazione dovuta al quantitativo di news, link, articoli, pdf, FAQ, modelli di autocertificazioni, smentite e molto altro.
Informarsi e restare luci non è semplice in questo periodo incerto dove trovano terreno fertile le famigerate fake news.

 

Per descrivere il tutto partiamo dall’effetto che la paura ha avuto sulla birra Corona, che in nessun modo è legata al Coronavirus.

In un articolo de Il Sole 24 ore del 27 febbraio  troviamo scritto: “Su Google, le ricerche su ‘Coronavirus birra Corona’ o ‘Virus Birra Corona’ si sono moltiplicate. Tanto che l’azienda, nei giorni scorsi, è stata costretta a diramare una nota nella quale ha spiegato che non c’è alcun legame fra la birra e la polmonite cinese”.

Sempre l’articolo afferma che: “la “Constellation Brands Inc (l’azienda che produce la birra messicana nei 50 stati che compongono la federazione americana) ha perso l’8% alla borsa di New York in una settimana, come fa notare Bloomberg. Una storia ai limiti del grottesco, dunque. Una storia che racconta come il limite fra prudenza e psicosi, in questi giorni, è una linea sottilissima”.

Ed è proprio da questa psicosi che bisogna partire per capire e analizzare le conseguenze delle fake news in questa particolare fase.

Premetto che in questa breve analisi non mi soffermerò sui video che sono usciti recentemente da TGR Leonardo alla valutazione del farmaco Avigan sostenuta con un video dal giovane sardo Aresu oltre allo sconcerto del virologo Roberto Burioni palesato con un suo tweet piuttosto diretto. Se volete saperne di più trovate l’intervista di Red Ronnie al giovane e molte altre fonti. Io non ho le competenze per valutare né smentire ci pensa l’Aifa.

Fake N. 1 “Dove sono le ong, Gino Strada, Medici senza frontiere, etc, etc”.
Ne abbiamo già parlato qualche giorno fa quindi non vorrei soffermarmi troppo. C’è da dire che anche il giornalista Bruno Vespa ha voluto contribuire alla ricerca delle ONG, lanciando un appello e chiedendo loro di “tornare in barca”.
Eccolo a voi: Bruno Vespa e le ONG.

Ora, ripeto, bastava andare sul loro sito per verificare e notare che sono tutti in prima linea da giorni ma la cosa sconvolgente sta nel fatto che, a seguito a queste illazioni, sono esponenzialmente aumentati i numeri di articoli e di interviste in cui le Ong hanno dovuto giustificarsi e dimostrare il loro operato.

In sostanza se non compari sui social non esisti e, a quanto pare, oggi non è più possibile lavorare nel silenzio, pena le accuse di negligenza.
Ma andiamo avanti con un’altra bufala che circola su whatsapp e social e vede come protagonisti gli immigrati ovvero coloro che non si ammalano.

Fake N.2 Fate una verifica e vedrete che in tutti gli ospedali, non c’è un extracomunitario di qualsiasi età positivo o ricoverato per Cov19!!!!!!!!! Come è possibile!?!?!? Solo gli italiani….allora…meditare gente”
Premessa: quando i post includono un “meditare gente” non presagiscono nulla di sensato.

Riporto al tal proposito, uno stralcio dell’intervista pubblicata su Il Tempo il 23 marzo del virologo e Professore Giulio Tarro: “Il coronavirus è democratico, non fa distinzioni di razza. Il problema risiede nell’età avanzata e nella presenza di altre patologie”.

Quindi, facendo due conti, la risposta potrebbe risiedere nel fatto che i migranti presenti in Italia sono piuttosto giovani (pur sapendo che si ammalano tutti, nessuno è immune, ma è appurato che colpisce maggiormente gli anziani, i giovani fungono spesso da vettore, cfr. intervista ) oltre al fatto che i dati pubblicati dalla Protezione Civile non indicano la nazionalità dei positivi. Se ciò non bastasse possiamo riferirci al virologo Roberto Burioni, il quale, dopo aver smentito il tutto in un tweet, ci invita tutti al San Raffaele per verificare con i nostri occhi.

Burioni2

Fake N.3 Alcol metilico e altri rimedi.

Ci spostiamo in un contesto internazionale e andiamo in Iran.

IRAN. Almeno sette persone sono morte e altre 48 sono ricoverate – Tutta colpa di una fake news che asseriva che consumare alcol avrebbe ucciso il virus nel corpo”.

Ma da noi questo non può succedere, la gente lo sa che l’alcol metilico è dannoso, commenta qualcuno. Siamo sicuri? Vi ricordo l’aumento di TSO e il panico dilagante di questi giorni.

Fake N.4  “La  vitamina C contrasta il Covid-19. Corsa all’acquisto”

La vitamina C è considerata un elemento utile per rafforzare il sistema immunitario ma la comunità scientifica ha affermato che non c’è evidenza scientifica rispetto alla sua capacità di contrastare il COVID-19.

Consiglio, oltre a sito del Ministero della Salute, anche questo link per verificare la veridicità delle news: https://dottoremaeveroche.it Si tratta del sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, organo ausiliario dello Stato. Nello specifico Dottoremaeveroche nasce con lo scopo di offrire alla popolazione un’informazione accessibile, scientificamente solida e trasparente.

La stessa cosa vale per il consumo di acqua.  Nelle ultime settimane è circolato su whatsapp il consiglio di bere molta acqua oppure tisane bollenti per essere immuni al virus così come bere vino per igienizzare il cavo orale.

Partendo dal presupposto che bere molta acqua fa bene alla salute ed è un consiglio che vale per la quotidianità, per ciò che riguarda l’immunità, vi rimando alla sezione “Covid-19: proteggiamoci dalle… bufale” del Ministero della Salute

acqua2

Fake N.5 “Stipendi di 600 euro per alte cariche dello Stato e dirigenti”.

Si tratta di un pdf che circola da giorni sul web e continua a rimbalzare ovunque. Vi rimando al link del Riformista che spiega per filo e per segno anche gli errori grafici della bufala.

Fake N.6 Lo Stato di emergenza e la fine dell’isolamento.

Infine, come dimenticare la teoria secondo la quale il 31 gennaio, dichiarando lo Stato di emergenza fino al 31 luglio, si sarebbe volutamente tenuto nascosto il rischio reale del virus e “ci si preparava, tramite un’ azione premeditata, alla limitazione della libertà dei cittadini“. E per non farci mancare nulla, il tutto è stato condito dalla “certezza” che la durata dello Stato di emergenza (6 mesi) corrisponda alla durata dell’isolamento al quale siamo tutti costretti quindi fino al 31 luglio.

La dichiarazione dello Stato di emergenza e la sua durata non sono strettamente connesse alla durata dell’isolamento e questo è stato spiegato più volte negli ultimi giorni. Riporto uno stralcio dell’intervista rilasciata dal Presidente Conte il 24 marzo: “Si è diffusa la notizia che le misure saranno prorogate al 31 luglio. Quando abbiamo adottato il primo provvedimento a fine gennaio abbiamo deliberato lo stato emergenza nazionale per sei mesi, fino al 31 luglio 2020. Ma questo non significa che le misure restrittive saranno prorogate fino a quella data. Siamo pronti in qualsiasi momento ad allentare la morsa, superare quelle misure, e fiduciosi che ben prima di quella scadenza si possa tornare a un migliore stile di vita”.

Si potrebbe continuare per dei giorni ma, per una panoramica approfondita sulle fake news, consiglio di visitare il sito di Agenda Digitale che spiega per filo e per segno le modalità di diffusione di queste ultime.

“Dov’è Gino Strada? Dove sono tutti??!”

ongE adesso che ho finito con i runner cosa posso fare? Come si fa a passare il tempo? Trovato, ho un’idea! Controllo la chat di Whatsapp e le storie dei miei contatti, magari qualcuno è in giro e posso inveire contro. Scorro la rubrica. Mannaggia, sono tutti a casa a fare torte. E comunque la torta non è un bene di prima necessità! No, questa è banale, non attacca. Cosa posso fare? Cosa posso inventarmi per trascorrere i prossimi mesi? Questa quarantena non passa più!

Vado su internet, mi metto a cercare forsennatamente, mi serve qualcosa di sensazionalistico, qualcuno notoriamente attaccato così sarà più facile condividere e ottenere consenso.

E alla fine eccolo! Lui, The Right Man, l’uomo giusto al momento giusto: Gino Strada e tutti i suoi compari delle ONG. Ci sono, preparo un post, che bello, anche oggi mi passa la giornata!

Pochi secondi e il gioco è fatto.

Il post inizia a girare. Dov’è Gino Strada? Dove sono quei Medici Senza Frontiere? E le ONG? Dove sono gli eroi adesso??

Le domande girano per il web (assieme al post virale, vedi foto). Normale, in un modo o nell’altro dovevamo pur tenerci impegnati.

E dove saranno mai questi? In effetti, chi lavora seriamente non ha bisogno di fare show, lo fa nel silenzio, senza bisogno di dimostrare qualcosa.

In ogni caso, non è difficile ottenere una risposta, basterebbe un click a dir la verità. Il tempo per controllare non manca.

Per farlo è sufficiente digitare su google la parola “Emergency”, cliccare sul primo link che appare per poi trovarsi in una sezione completamente dedicata a Emergenza sanitaria Italia: Ecco cosa stiamo facendo.

Riporto quanto scritto sul sito:

Coronavirus

A Brescia: Siamo stati contattati da diverse realtà sanitarie di alcune regioni italiane; al momento stiamo lavorando con la Direzione sanitaria dell’ospedale di Brescia per proteggere il personale sanitario e l’ospedale dal contagio.

A Milano: “Milano Aiuta” – progetto “Domiciliarità”. A Milano, in risposta all’appello fatto dal Comune nell’ambito della piattaforma Milano Aiuta, abbiamo attivato un servizio per le richieste di trasporto di beni (alimentari, farmaci o altri beni di prima necessità) per gli over 65, coloro a cui è stata ordinata la quarantena e le persone fragili a rischio movimento. Il servizio è attivo dalle ore 9.00 alle 13.00 dal lunedì al sabato chiamando il numero di telefono 020202 ed è completamente gratuito. 

Vale la stessa cosa per Medici senza frontiere.

medicisenza

Potete trovare tutte le informazioni sul loro sito:

A questo punto la domanda sorge spontanea.

Cosa stai facendo oltre al copia-incolla compulsivo? In che modo contribuisci? Oltre a cliccare, condividere, giudicare senza verificare, alimentando e fomentando odio e panico.

Credimi, non c’è bisogno del tuo aiuto, la situazione è già tesa di suo. 

Ricordo che solo in un giorno, il 20 marzo, nella città di Torino, sono stati effettuati 9 TSO, sintomo di un grave malessere crescente.

Se non sai da che parte partire e vuoi realmente contribuire, puoi contattare la Croce Rossa Italiana, diventare volontario temporaneo e consegnare pacchi alimentari, farmaci e beni di prima necessità alle persone vulnerabili o gestire altre attività utili.

Croce rossa

Non è più il momento per condividere fake news bensì agire.

Persino lo chef Cracco si è messo all’opera.

Azione pubblicitaria? E chi lo sa. In ogni caso è molto più utile di un click a caso.

Chef

AAA Cercasi colpevole

AnnuncioAAA Cercasi colpevole. Reato di passeggiata. No, di tabagismo, perché in tempi come questi non si esce per andare in tabaccheria.

No, è colpa del podista. Anche di coloro che portano fuori il cane. No, di quelli che sono andati due volte al supermercato questa settimana!

Ma non è finita qui perché dopo i runner, è la volta della vendita dei pennarelli vietata da alcuni supermercati per poi approdare alla polemica relativa alle caramelle e dolci che, a detta di alcuni, non sono beni di prima necessità. E allora giù di twitter per criticare chi ha osato indugiare qualche secondo nel reparto dolciumi nella speranza di trovare un qualcosa per allietare le giornate dei piccoli e non. Chissà quale sarà il tema della prossima diatriba.

Comunque, poco importa quale sia il motivo, qui c’è bisogno di un colpevole. Il popolo lo reclama a gran voce. E la politica segue il coro unanime, lo fomenta, e via di lanciafiamme e altre minacce simili.
Ebbene, io credo che scaricare tutta la responsabilità sui cittadini o su coloro che corrono o passeggiano in solitaria sia un modo per trovare un untore, un capro espiatorio, una sorta di arma di distrazione di massa. Concentrarsi solo su questo ci impedisce di pensare a ciò che si sarebbe potuto fare prima del famoso decreto – diffuso erroneamente in anticipo – dando seguito a un esodo di massa verso il sud, quel sud che bisognava proteggere, oltre ai controlli che si sarebbero potuti eseguire su coloro che arrivavano dalla Cina, triangolazioni comprese senza dimenticare l’elemento più importante: gli ingenti tagli alla sanità italiana.

Che vuoi farci, questa è l’attenzione che abbiamo riservato alla salute fino ad oggi. Solo che, una mattina, abbiamo capito che la corsa per salvare l’economia era inutile perché senza la salute l’economia non parte, non riparte. E per la prima volta ci siamo resi conto che dietro l’economia, si nasconde un essere umano e senza di esso si ferma tutto. Per forza.

Qualcuno risponde che questo non è il momento di porsi domande.
Ma allora qual è il momento giusto per interrogarsi?
Di certo non i primi di febbraio quando ci dicevano di abbracciare un cinese per poi cambiare idea, informandoci che, forse, il virus poteva essere un problema.
E così, appena le città si sono svuotate ci hanno sollecitato a non fermarci e far ripartire l’economia perché il “rischio di contagio è basso”. E allora, via con il video di Confcommercio perché l’Italia non si ferma e tutti noi ci siamo sentiti chiamati in causa. Abbiamo anche imparato a lavarci le mani con il tutorial della D’Urso e ci siamo fatti due risate, pensando che ormai ognuno aveva detto la sua, e la vicenda si sarebbe chiusa lì. Ma è durata poco perché alla fine è arrivato lui: il decreto, che il web ha definito come la serie Tv più seguita dagli italiani. Fine della storia.

L’epidemia è iniziata in Cina i primi di gennaio (cronologia completa link Corriere) e noi, per un mese e venti giorni, abbiamo ciondolato e sperato, in attesa che qualcuno di indicasse la via maestra.

Ora, invece risulta grave, i decessi aumentano a vista d’occhio, e anche in questo caso non c’è una direzione precisa. Sì perché mentre si chiudono i parchi e i giardini e si vigila per evitare le fughe degli amanti del week-end, le fabbriche restano aperte, i mezzi di trasporto continuano a funzionare e un esercito silenzioso di persone continua a lavorare nonostante tutto senza contare che non si trovano più mascherine da giorni e coloro che lavorano in gruppo e ne sono sprovvisti.

In sostanza gli Italiani non devono andare nelle seconde casa al mare e in montagna ma possono continuare a entrare in fabbrica e nei magazzini.
Quindi continua l’indecisione, quelle misure prese a metà che hanno caratterizzato gli ultimi tre mesi.

“E ma quello che è stato è stato, adesso bisogna occuparsi di altro”, affermano in tanti.
Eh no, non funziona così. Non si chiude tutto a tarallucci e vino e un bel scurdámmoce ‘o passato.
La confusione nella quale è piombato il Paese è la conseguenza diretta dell’ambiguità delle ultime settimane.
Non si possono lanciare continui messaggi contraddittori e, poi, da un giorno all’altro fornire una risposta completamente diversa e ottenere una comprensione immediata del pericolo.

Zingaretti
Vi ricordo a tal proposito che il 27 febbraio Zingaretti si presentava a Milano all’aperitivo di gruppo anti-panico per poi risultare contagiato.

 

 

ConfcommercioE, sempre a fine febbraio, Confcommercio  condivideva sui social una lista con dieci suggerimenti per  trascorrere le giornate nonostante il Coronavirus e spendere soldi (facendo due conti si tratta di un quantitativo che una partita iva media non disponeva nemmeno prima del Coronavirus figuriamoci adesso).

Zaia

E come dimenticare l’8 marzo – solo 13 giorni fa – quando Zaia, Presidente della Regione Veneto dichiarava: “No zona rossa veneto. Noi continuiamo a dire che vogliamo che le nostre tre province escano da questa idea di zona rossa, rispettiamo le regole però non vogliamo avere tre province dentro sulla base di quella classificazione”. Ieri in conferenza stampa ha affermato che Verona è il nuovo cluster.

Potrei continuare all’infinito. E, se è vero che non possiamo cambiare il passato, è anche vero che forse potremmo tentare di intervenire adesso per migliorare il futuro.

E nell’attesa viviamo attaccati ai social aspettando le news del giorno. Qui si va in bagno per una doccia e appena esci sono arrivate tre nuove ordinanze, due smentite, qualche j’accuse e un paio di bollettini. Senza dimenticare le Faq del Ministero che “chiariscono” i dubbi generati dalla loro stessa non chiarezza.

Forse i nostri politici non si sono resi conto in tempo del pericolo. Bene, così è successo anche alla popolazione. Per la prima categoria di tratta di un peccato è veniale, per la seconda evidentemente no.

Come dicevo prima, mi colpisce particolarmente la reazione della gente sui social. Vicini cecchini, fotografie in primo piano di persone in metropolitana, video inviati ovunque e urli dai balconi di casa, condivisioni sui social di fotografie di persone per strada. E scatta la gara a chi riesce a individuare più colpevoli.

Ora, capisco che si voglia contribuire al bene comune. Capisco che infastidisca chi fa la spesa 3 volte al giorno in fila per sei col resto di due ma, come dicevo prima c’è anche la gente che va a lavorare. Non tutti possono stare a casa, non tutti possono lavorare in smart.

Esistono le forze dell’Ordine per effettuare i controlli, le pagate, le paghiamo.
Ho visto qualcuno scrivere sui social, condividendo fotografie (nemmeno pixelate) scattate alle 7.00 del mattino in metropolitana:”Dove va questa gente?
Ma dove vuoi che vada questa gente alle 7.00 del mattino?
A lavorare. Vogliamo contribuire. Ok, ma facciamolo sempre con cognizione di causa. Non lasciamoci prendere dall’emotività.
La compressione della Costituzione e quindi delle libertà personali è giustificata e lecita (non lo lo dico io, cfr. intervista) in caso di emergenza e questo è ribadito nell’art. 16 della nostra Costituzione. Sempre citando l’articolo: “nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Stessa cosa vale per le riunioni. L’art. 17 cita in merito a queste ultime: “(…) possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Sarebbe un colpo di Stato vietare la circolazione se non ci fosse questa ragione. Viviamo una situazione di Stato di eccezione e non Stato di diritto (cfr. intervista).

Aggiungo però che sarebbe un grave colpo sfogare la rabbia di questi giorni tentando di farsi giustizia da soli. Mi rendo conto che noi italiani la giustizia l’abbiamo vista col binocolo e conviviamo con l’impunità, ma siamo e restiamo parte di una comunità e la dignità della persona non può essere messa in discussione.

Questo è un lutto per chi combatte in ospedale in primis e per chi sta perdendo i suoi cari ma non solo. Ha innescato una reazione a catena che coinvolge nuovamente i soggetti più vulnerabili della società. Il Paese si è fermato ma non la violenza sulle donne,  molte delle quali trovano che la loro casa sia tutto tranne che un luogo rassicurante; per le famiglie di persone con disabilità, gli anziani e coloro che vivevano il dramma della solitudine ancor prima del Covid-19, perché la solitudine, l’isolamento e la depressione esistevano anche prima.

Ma proprio perché la cosa interessa tutti, mi colpisce l’interesse nel segnalare gli altri, mi ricorda tutte quelle volte in cui, negli ultimi anni ho letto articoli di donne violentate per strada e nessuno si è fermato a prestare soccorso nonché l’omertà con la quale si giustifica chi non paga le tasse necessarie per finanziare la sanità italiana che non è gratuita, bensì pubblica. Solo che, questa volta, la cosa intacca l’orticello personale e allora via libera alle delazioni di massa.

Parimenti mi inquieta l’ingente numero di persone che inneggia all’odio e auspica la violenza fisica per chiudere la gente in casa.

convincere
Esempio di fotografia condivisa sui social. I commenti confermano che si tratta di un buon metodo.
odio
Video condiviso sui social in questi giorni. Persone urlano e sono rincorse da soggetti col manganello (fonte non verificata).  Tra i commenti (non di coloro che hanno condiviso il video bensì degli utenti) :”Anche qui in Italia dovremmo fare così”.

Legittimare la violenza fisica è il primo passo per legittimare tutto. Siamo sicuri che lo stiamo facendo per il bene comune o solo per il nostro bene? Oppure per rispondere all’esigenza di dare un nome e cognome al colpevole e proiettare su di lui tutta la nostra rabbia?

Il tempo per pensarci non ci manca, ovviamente.

Quale direzione?

Serene Seas Instagram PostNon scrivo su questo blog da tanto tempo, a dir la verità non so se c’è qualcuno in ascolto o se le mie parole andranno a vuoto.
Qualche giorno fa un paio di amiche mi hanno sollecitata a farlo.

All’inizio ero in dubbio. Da fare ce n’è: a casa si possono trovare mille attività e poi sto lavorando “in smart”, un qualcosa che mi obbliga a spingermi in là, oltre le mie competenze, approfittando di questa ondata digital alla quale l’emergenza Coronavirus ci ha obbligati.

In sostanza non scrivo perché non ho nulla da fare anche se, la maggior parte dei progetti che stavo realizzando è stata interrotta, cancellata o congelata. Scrivo perché vorrei condividere questo momento con voi, perché ho letto troppi articoli e ho percepito molta (giustificata) preoccupazione.

Ho letto un pezzo un paio di giorni fa. nel quale sono state riportate le parole di un tweet dell’autrice Michela Marzano la quale afferma di non riuscire a leggere in questi giorni.
Poi, qualche riga dopo ho letto la risposta di Nicola Lagioia, direttore del Salone del libro di Torino: “Sto facendo fatica anche io. È complicato riuscire a entrare nella giusta disposizione d’animo. Forse anche perché i libri di solito raccontano avendo come punto di vista il “dopo” mentre noi invece siamo nel mezzo del guado”.

Mi ha fatto riflettere: in pochi caratteri è riuscito a riassumere la risposta che stavo cercando perché ho lo stesso problema, leggo, tento di informarmi e di programmare qualcosa, ma poi, la stanchezza prende il sopravvento e mi sento in colpa perché ho tempo ma non lo sto usando come vorrei, come faccio di solito, come ho sempre fatto.
È vero, stiamo vivendo la fase “precedente”, quella dello sconquasso, quella in cui i pensieri disordinati, si muovono come palline di un flipper, facendoci oscillare, nello stesso arco della giornata, tra stati d’animo diversi e contraddittori. Forse non dobbiamo pretendere troppo da noi stessi, forse dovremmo imparare a stare seduti e aspettare.
Facile a dirsi potrebbe commentare qualcuno. Se hai perso il lavoro, se la tu attività è a rischio, se tu stesso devi scegliere se andare a lavorare senza tutela o se scioperare, c’è poca voglia di stare fermi e riflettere. Riflettere su cosa poi, potrebbe chiedersi qualcun altro.

Lungi da me dal voler dare risposte, non ne ho le competenze ma, come tutti, mi trovo coinvolta in questo mare di domande, e cerco di interrogarmi sul futuro, su ciò che succederà quando ci diranno che possiamo uscire.
Sì, ma per andare dove? Chi potrà tornerà al lavoro e chi non lo avrà più?
Quanto tempo ci vorrà per far tornare qui i turisti? E quanto tempo ci vorrà prima di far ripartire gli eventi? Io penso, e non lo dico io ma gli esperti di psicologia, che dimenticheremo tutto ciò e, nonostante la paura, le persone torneranno a muoversi, viaggiare, fare vacanze. Ma è necessario pensare che in ogni caso, la programmazione del primo semestre, è compromessa, e i tagli saranno tanti, inutile negarlo.
Che faranno i giovani? Prima, anni fa, nel periodo della crisi, in tanti sono fuggiti all’estero a cercare lavoro. Ma l’estero se la sta passando come noi, e anche là fuori pagheranno a caro prezzo questa emergenza sanitaria. Ci vorranno oltralpe se correremo da loro ai ripari una volta fuggiti?
Ci aiuteranno in questo Paese a rialzarci?
Per ora riesco solo a leggere lo scontento generale e la paura e, tra le varie categorie, emerge lo scoramento delle Partite Iva, di quelli che vengono definiti imprenditori di se stessi per i quali sono previsti 600,00 Euro al mese, il costo di un affitto di un bilocale in una piccola città, quelle grandi nemmeno le conto per non impallidire.

C’è poco da stare allegri anche a voler stare allegri ma, nonostante questo, faccio comunque fatica a comprendere chi insulta coloro che cantano dai balconi, o che tentano di unirsi metaforicamente parlando, collegandosi sul web. Massimo rispetto per coloro che soffrono, coloro che combattono in corsia, quelli che hanno perso i loro cari ma non dimentichiamoci che a modo diverso siamo tutti coinvolti in questa vicenda e che ogni forma di dolore e di preoccupazione e i mezzi per superarlo devono essere quantomeno rispettati.

Ci eravamo appena alzati da quella crisi che tra il 2008-2011 aveva raso al suolo le speranze di tanti giovani. Ora dovremo fare i conti con questa. Dovremo dare un nome e un cognome ai morti perché adesso sono solo numeri, purtroppo, e dovremo raccontare le loro storie e le loro vite.

Ora non si può, siamo bombardati e non sappiamo più a chi dare retta, leggiamo un articolo e poco dopo ne esce uno nuovo, poi c’è un video, una ricetta, una notifica, una conferenza stampa, il bollettino dei guariti e non, e tua madre che ti richiama all’ordine, la profe che ti cerca on line, il fidanzato che non esce più “e-se-superiamo-questa-sarà-amore-per-sempre-davvero-lo-giuro”, tuo figlio che corre per casa mentre lo rincorri per cambiargli il pannolino.

La mia è solo una voce in mezzo a tante altre, una voce della quale potremmo tranquillamente fare a meno e infatti, vorrei che foste voi a scrivere e raccontare le vostre riflessioni, lontani dai social, dai giornali, come se potessimo trovarci tutti faccia a faccia e discutere democraticamente del nostro futuro e del presente.
Magari in modo un po’ più intimo, seppur pubblicato sul web, perché va bene che ormai le nostre case, vite, cucine e corridoio sono in mondovisione ma c’è anche qui questa privacy la vorrebbe preservare.

Sarà utile? E chi lo sa.

Forse questo è il momento delle domande, per le risposte dovremo ancora attendere.

Ritratti in controluce. Lavoro e disabilità: a che punto siamo?

IMG-20180218-WA0000.jpgVerona, 13/05/2018. Tra qualche giorno sarà presentato a Verona “Ritratti in controluce. Cecità, stereotipi e successi a confronto“. Si tratta del mio nuovo docu-film che ho realizzato grazie al sostegno di Fondazione Giorgio Zanotto. Vi starete chiedendo cosa c’entra questo documentario con il blog ma soprattutto di cosa si tratta.

Parto dal principio e faccio un passo indietro nell’ottobre del 2017 quando ho conosciuto Roberta Mancini Presidente di Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti di Verona e mi ha sottoposto la sua idea.

All’inizio, quando mi ha proposto di realizzare questo documentario, ero un po’ restia.

Il mondo aveva forse bisogno di un altro documentario dedicato alla cecità? E’ questo ciò che mi sono chiesta per molto tempo.

Ho controllato on line e ho visionato tutti i film e docu-film che trattano la materia e mi sono resa conto che, se è vero che siamo tutti più o meno d’accordo sul fatto che i ciechi possano sciare, fare musica, dipingere etc. è anche vero che il tabù resta per ciò che concerne il lavoro.

Il lavoro, un tema che interessa tutte le disabilità e non solo i non vedenti.

Una persona con disabilità è spesso considerata per ciò che non ha e non ciò che sa o potrebbe fare e questo è ancora un dato di fatto. E se è vero che la società, il nostro modo di pensare sta cambiando è anche vero che molto spesso chi non vede, o chi è sordo, chi è in carrozzina, chi ha una mobilità ridottissima è relegato a posizioni che non prendono in considerazione né le loro capacità, né i loro sogni e aspirazioni.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo vale anche per i giovani, per i 50enni, gli esodati, le madri a cui viene negato il ritorno in ufficio. E a questa obiezione non potrei che rispondere: sì, è vero.

E questo è il motivo per il quale sto scrivendo un post per questo blog che si è sempre occupato di lavoro. E’ chiaro, questa famosa quanto millantata e strategica crisi economica ha spazzato via i sogni e le aspirazioni di un’intera generazione ma è anche vero che, magicamente, una volta cancellati tutti i diritti dei lavoratori, sparirà e ci ritroveremo a fare i conti con ciò che abbiamo. E cosa abbiamo? Abbiamo menti e mani capaci di fare e di pensare. Abbiamo persone alle quali viene negato un colloquio per paura di doverli assistere o di trovarsi con un lavoratore dimezzato.

Voglio raccontarvi una storia però prima di trarre le conclusioni. Cinquant’anni fa bisognava bussare alle porte delle famiglie e convincerli a far uscire i propri figli, amici, parenti con disabilità e il motivo è presto detto. Mi raccontano che era un vero e proprio tabù e in molti si vergognavano, avevano paura del giudizio degli altri o volevano proteggere i propri cari dall”esterno. Il mondo è cambiato, oggi si vedono più carrozzine, motivi per il quale finalmente ci si sta occupando sempre di più del problema delle barriere architettoniche. Oggi si incontrano molti più ciechi e sordi che si muovono da soli, in completa autonomia, partecipano alla vita politica e sociale del Paese e non c’è niente che possa fermarli. Perché hanno grinta e hanno bisogno di una ragione per…quella che cerchiamo noi tutti ogni giorno alla fine delle nostre giornate. Siamo passati da un sistema assistenzialista a un sistema integrativo e mi auguro che il prossimo passaggio sia qualcosa che consideri, valuti, promuova e potenzi le capacità del singolo al di là delle sue difficoltà. La parola integrazione indica due elementi diversi che devono essere uniti, io punterei invece a utilizzare due vocaboli alternativi: collaborazione e potenziamento.

Locandina 23 maggio 2018

Ritratti in controluce non vuole tratteggiare le vite dei protagonisti come dei super eroi, ma come persone che hanno dovuto affrontare un cambiamento importante nella loro vita e hanno saputo dimostrare a sé stessi e agli altri le loro reali capacità. I cinque protagonisti hanno raggiunto un livello alto nel mondo del lavoro, una expertise e una conoscenza del loro ambito che permette loro di essere autonomi in tutti i sensi.

Mi auguro veramente che questo video possa raggiungere sia le persone con disabilità visiva ma soprattutto l’altra metà del cielo come mi ha riferito un rappresentante della Consulta disabili di Verona.

Di seguito il materiale che riguarda il documentario.

Vi aspetto il 23 maggio a Verona e il 5 giugno all’evento di Venezia.

Verona News: Le storie di chi ce l’ha fatta.

Superando: Cecità e stereotipi nel lavoro.

Cinema italiano. Presentazione.

 

Un caffè con Borsellino

Tborsellinore mesi fa ho saputo che Salvatore Borsellino sarebbe venuto a Verona per un convegno. Ovviamente mi sono subito iscritta al seminario e ho cercato di contattarlo per chiedergli un’intervista.

Ho pensato che si sarebbe trattato di una corsa all’oro, che tutti, ma proprio tutti i giornalisti della città, avrebbero fatto a gara per strappargli due parole. Con molto rammarico ho scoperto, successivamente, che non è stato intervistato da nessuno. Che nessun giornale della città, a parte Veronanews sul quale ho pubblicato l’intervista, aveva dedicato due righe a questo grande uomo, a suo fratello, ma soprattutto alla sua lotta e al suo obiettivo, che condivido pienamente: la ricerca della verità. E questo, è un fatto davvero molto grave, un silenzio che corrisponde ad un’omertà voluta e accettata, un avvertimento chiaro, per tutti coloro che vorrebbero scoperchiare il vaso di Pandora: “Signori, la mafia al nord non esiste, e se esiste, ‘è poca cosa’ ma soprattutto è funzionale.

A questo non posso porre rimedio, certo è che mi sono sentita ancora più grata per aver avuto questo grande piacere di poter dialogare e intervistare un uomo che non ha perso la speranza. Non dimenticherò facilmente la gioia che provato nel leggere la sua email e nel lavorare con lui a questo articolo ma soprattutto non scorderò la sua umiltà. Quando, il giorno del convengo, mi sono presentata, Salvatore, si è messo in ginocchio per riuscire ad arrivare alla mia mano che tentava di stringere la sua. Il palco era troppo alto per me e non riuscivo ad arrivare a lui. E così si è avvicinato per salutare.  Ma, in fondo non c’è da meravigliarsi. I grandi uomini, i veri uomini, lavorano nel silenzio, non hanno bisogno degli onori, di gesti plateali o di essere osannati o di sventolare le loro gesta.

Ecco perché ho deciso di pubblicare l”intervista su Danordasud, per rendere, nel mio piccolo, onore a quest’Uomo. Che possa aiutarvi nei momenti di sconforto, che possa riaccendere i vostri cuori e far volare in alto i vostri sogni e che possa aiutarci lavorare per il bene comune e non solo per il nostro sterile orticello.

Un abbraccio

Alessia

I giovani, la mia speranza

Palermo, 19 luglio 1992 . Il magistrato Paolo Borsellino è assassinato da Cosa Nostra, assieme a cinque agenti della sua scorta. Quello stesso giorno, la causa di Paolo diventa quella del fratello Salvatore che da anni chiede verità e giustizia. Ventiquattro anni dopo Salvatore Borsellino è ancora in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata. E lo sarà anche il prossimo 19 Marzo, a Verona in occasione del Convegno “Mafie a nordest. L’informazione e la criminalità”.

L’auditorium congressi del Banco Popolare vedrà infatti tra i suoi ospiti anche l’Ingegnere, fondatore del movimento 19 luglio 1992 che, dal 2008, assieme al movimento Agende rosse, opera attivamente per sensibilizzare l’opinione pubblica e i giovani in cui crede fermamente ma soprattutto per fare luce sulla strage del ’92 e sulla scomparsa dell’agenda rossa, un taccuino sul quale il fratello annotava tutto ciò che aveva scoperto dopo la morte di Falcone.

19 luglio 1992. Com’è cambiata la sua vita?

Ė come se da quel giorno avessi cominciato a vivere una vita diversa, come se non fossi più la stessa persona. A quel tempo avevo fatto una scelta di vita completamente diversa da quello di mio fratello. A 27 anni, appena laureato, appena sposato con la persona che avevo scelto come compagna della mia vita, decisi, insieme a lei, di andare via da Palermo. lontano da una città in cui la mafia la vedevi, la sentivi, capivi che avrebbe condizionato il resto della tua vita.

Decisi di far crescere i miei figli al nord, in un altro paese, lontano da tutto quello che mi opprimeva, che rifiutavo, che non mi piaceva. Il 19 luglio capii che non basta fuggire dalle cose che non ci piacciono. Se crediamo che non siano giuste e che debbano cambiare, non dobbiamo aspettare che siano gli altri a farlo.

La mafia del 1992 è la stessa del 2016?

La mafia in questi vent’anni è cambiata profondamente, e non soltanto perché, tra le organizzazioni mafiose, la ndrangheta ha preso il sopravvento rispetto a Cosa Nostra ma perché, ancora una volta, è cambiata la strategia che è ritornata ad essere, dopo il periodo stragista, di attacco frontale, dei corleonesi di Riina, quello del mascheramento, della mimetizzazione, dell’infiltrazione all’interno dell’amministrazione pubblica, dell’accaparramento degli appalti, degli scambi con la politica, anzi peggio, spesso sono gli stessi mafiosi che entrano in politica.

La mafia è diventata finanza, sfruttamento e riciclaggio degli enormi capitali accumulati grazie alle attività criminali che, una volta riciclati ed entrati nel circuito dell’economia politica, ne sovvertono l’equilibrio e ne minano le regole di normale concorrenza.

A chi acquisisce un’ attività commerciale o industriale per riciclare il denaro sporco non interessa lo sviluppo dell’attività stessa dal momento che, una volta riciclato il capitale, questa può essere dismessa o mandata in rovina per passare ad un’altra attività per riciclare e ripulire dell’altro denaro.

In una sua intervista ha parlato della necessità di creare un luogo per strappare i giovani alla mafia e alla povertà. Quale alternativa offre oggi l’Italia ai giovani a rischio?

Non credo che il nostro governo dia segno di pensare a questo problema o di avere dei progetti per creare questa alternativa. Non ne sento parlare nei programmi di governo e non ne vedo alcun segno nelle leggi che vengono approvate in parlamento. L’alternativa sono persone come Padre Puglisi ad offrirla e, per questo, spesso, ci rimettono anche la vita.

In un ambito estremamente più ridotto sto cercando di creare nel quartiere della Kalsa, a Palermo, quello dove siamo nati, una Casa di Accoglienza, la Casa di Paolo, per cercare di dare ai giovani del quartiere, dove c’è un alto tasso di fuga dalla scuola, un’alternativa alla perversa spirale povertà-emarginazione-criminalità-criminalità organizzata. E questo lo sto facendo, volutamente, senza nessun aiuto da parte delle Istituzioni affidandomi piuttosto alle donazioni dei cittadini e al al loro volontario impegno quotidiano. Siamo partiti con il doposcuola, continueremo con una scuola di informatica dove io stesso cercherò di insegnare ai giovani i mio mestiere, quello dell’uso dei computer come strumenti di lavoro, faremo quanto altro possa essere utile per raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati.

Immaginiamo per un attimo di poter riscrivere le pagine della storia. Cosa sarebbe l’Italia oggi se l’agenda rossa non fosse scomparsa?

Gli ultimi vent’anni della nostra storia nascono da una scellerata trattativa tra mafia e Stato per cui è stata sacrificata la vita di un servitore dello Stato come Paolo Borsellino. Paolo si sarebbe opposto con tutte le sue forze a questa trattativa e, quello che aveva scoperto prima che fosse ucciso, lo aveva scritto nelle pagine di quell’Agenda Rossa.

Gli ultimi vent’anni della nostra Storia, e gli stessi equilibri politici che li hanno plasmati, si basano sui ricatti incrociati legati al contenuto e ai nomi scritti su quelle pagine. Questa disgraziata Seconda Repubblica, come l’hanno chiamata, ha le fondamenta intrise di sangue, il sangue di Capaci e di Via D’Amelio e il sangue delle stragi di Via dei Georgofili e di Via Palestro che sono servite ad alzare il prezzo della trattativa stessa. Su quella scellerata trattativa c’è stata, e c’è ancora, una scellerata congiura del silenzio che è durata per vent’anni e continua a durare, e il garante di questo silenzio, è stato chi occupava la più alta delle nostre Istituzioni, la Presidenza della Repubblica. A lui infatti si è rivolto uno dei protagonisti della trattativa, l’ex ministro Mannino, per chiedere solidarietà e protezione nel momento in cui si è trovato, a suo avviso, da solo ad essere incriminato per falsa testimonianza al processo per “attentato al corpo politico dello Stato” che si svolge a Palermo.

Falcone e Borsellino. Due morti evitabili?

Piuttosto che chiedersi se quelle morti fossero evitabili è meglio chiedersi a cosa e a chi sono servite. Perché e per quale scopo, pezzi deviati dello Stato, hanno dato via libera alla mano armata dello Stato deviato di compiere quelle stragi

Si è mai sentito solo in questi anni di battaglie?

Mi sono sentito solo quando, alla prima udienza del processo di Palermo, è stata respinta la mia costituzione di parte civile, che pure, in fase di udienza preliminare, era stata giudicata ammissibile dal GUP Piergiorgio Morosini. Mi sono sentito solo quando la corte del processo Borsellino Quater, che si svolge a Caltanissetta, ha avallato il rifiuto dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a testimoniare al processo su istanza della mia parte civile. Mi sono sentito solo quando, seppur richieste, tutti vertici delle nostre Istituzioni, ad eccezione del Presidente del Senato Piero Grasso, hanno risposto con un gelido e lugubre silenzio alla nostra richiesta di esprimere solidarietà al magistrato Nino Di Matteo per le minacce di morte ricevute per voce di Totò Rina, pur ristretto al regime del 41 bis, anzi forse sarebbe meglio dire tramite la voce di Totò Riina

Parliamo della mafia al Nord Italia. Vorrei capire perché la mafia al Sud assume sempre una connotazione negativa mentre la mafia del nord, di cui spesso si ignora o si vuole ignorare l’esistenza, è considerata furbizia, una risposta ad uno Stato “assente” che ha finito per fomentare il riciclaggio di denaro e il traffico di rifiuti industriali.

Siamo davvero così soli e così sfruttati da questo Stato da poterci permettere come risposta di essere i complici stessi di un sistema corrotto? O pensa che si tratti solo di una situazione di comodo?

La mafia, o meglio la criminalità organizzata, ha avuto a lungo al sud, e in parte continua ad avere, il controllo del territorio e questo è potuto accadere perché in quelle regioni lo Stato ha abdicato alle sue funzioni, lasciandole in balia della stessa criminalità organizzata perché potessero servire da serbatoio di voti per permettere a chi ci ha governato, dalla fine della guerra ad oggi, di governare il resto del Paese. Così facendo però quel tumore, non contrastato è entrato in metastasi, ha aggredito tutte le cellule dell’organismo del mostro Stato. Oggi non c’è regione del nostro Paese che sia immune dalla penetrazione delle criminalità organizzata, anche se, in una forma diversa, più subdola e anche più difficile da riconoscere da parte dell’opinione pubblica, perché è diventata finanza, è diventata la mafia dei colletti bianchi, e gli stessi imprenditori del nord, in un momento di stretta creditizia e di difficoltà congiunturale, non guardano troppo da dove arrivano quei capitali che credono possano risanare le loro aziende, e cominciano così a mettersi il cappio al collo.

Ing. Borsellino, vorrei che ora ci concentrassimo sui giovani.

Crede che i giovani di oggi siano sufficientemente a conoscenza dei fatti?

Mi spiego meglio. Le parlo da ex- studentessa. L’ultimo anno di ogni ciclo scolastico, elementari, medie e superiori è dedicato allo studio del ‘900. Ogni anno, puntualmente, per mancanza di tempo, gli studenti e i professori lamentano l’impossibilità di studiare e raccontare tutto ciò che succede dopo il 1960, in Italia e all’estero. Ne consegue una lacuna formativa molto grave dal momento che, le nuove leve, la futura classe dirigente o operaia che sia, non conosce la storia del nostro Paese degli ultimi cinquant’anni.

Le dirò una cosa che potrebbe ferirla Ing. Borsellino, se domani facessi un sondaggio e chiedessi ad un range di giovani 20-30 anni cos’è l’agenda rossa, molti, troppi, non risponderebbero.

Mi chiedo quindi se non sia il caso di modificare il Piano dell’offerta formativa, oppure, forse, sarebbe proprio il caso di studiare la storia al contrario cominciando dalla fine, ovvero il 2016, fino ad arrivare alla preistoria per far sì che il sacrificio di suo fratello e di tanti altri non resti solo un ricordo da commemorare ma soprattutto perché, come anche lei ha detto, per combattere la mafia è necessario conoscerla. Lei cosa ne pensa?

Credo che i giovani abbiano molta voglia di sapere. di conoscere, di capire, si rendono conto che il Paese che gli stiamo consegnando è un Paese in sfacelo e vogliono capire quali ne siano le cause. Il vero problema è che, non soltanto a scuola non si studia tutto quello che è successo dopo il 1960 in Italia e all’estero. Il problema è che certe cose vengono occultate e ogni livello, alla televisione e sulla stampa. Mentre ci vengono propinate ad ogni istante e in ogni momento e, per di più in maniera spesso morbosa ,tutte le informazioni possibili sui processi ai coniugi di Erba, all’assassinio di Yara, del piccolo Loris strangolato dalla madre, degli amanti dediti dello sfregio con l’acido e quanto di più trucido sia possibile scrivere ma non una parola su un processo nel quale si cerca la Verità su una trattativa che sta all’origine degli ultimi vent’anni della nostra storia. E, se è vero che tanti giovani non saprebbero rispondere alla domanda di cosa sia l’agenda rossa, ci sono tanti troppi adulti che lo hanno voluto dimenticare e che sono convinti che si tratta di vecchie storie che qualcuno si ostina a volere ancora tirare fuori. Se c’è, come c’è, una lacuna formativa questa è voluta, premeditata, e non bastano pochi professori che, spesso affrontando l’ostilità del resto del corpo docente, si affannano a fare luce sulla nostra storia recente per potere cambiare le cose.

La mancanza di un modello da seguire, lo scarso impegno e la non volontà di diffondere valori e ideali da seguire ha indubbiamente contribuito a scaraventare i giovani in un baratro che li ha resi spesso protagonisti della cronaca cosa che, ovviamente, li allontana dalle battaglie che questo Paese necessita per migliorare. In sostanza, troppo spesso il detto Mors tua, vita mea ha la meglio sull’unione delle forze, cosa che indebolisce ancora di più il potere della massa.

Lei crede che i media abbiamo contribuito nella creazione di un non-modello da seguire? E perché?

Sicuramente i media hanno contribuito e continuano a contribuire alla creazione di un modello distorto da seguire. Ciò succede perché nel nostro Paese non esiste più un’informazione libera. Ma sia chiaro, nessuno ha messo il bavaglio ai giornalisti. Sono loro stessi che se lo mettono, per essere graditi al potere, per potere fare carriera, per sperare di arrivare alla direzione di un giornale o di una canale televisivo. Non dimentichiamoci che nel nostro Paese si è permesso che si verificasse una anomalia unica, un industriale che aveva in mano le maggiori reti televisive private che, da capo del governo, ha potuto asservire ed infiltrare anche la televisione pubblica grazie ad un patto sotterraneo, forse figlio della trattativa di cui ho parlato prima. Una forza politica che ne rappresentava la controparte, anche quando poteva farlo non ha mai voluto votare una legge sul conflitto di interessi.

Vorrei parlarle dei giovani che incontro quotidianamente. Non voglio fare di un erba un fascio, e, molto probabilmente, quelli che ruotano attorno al movimento 19 luglio 1992 non sono così. Ma le vorrei comunque raccontare di quei ragazzi che ascoltano canzoni dove la parola speranza lascia spazio alla sfiducia, finendo poi per credere in quelle parole.

Le vorrei parlare di quei ragazzi che non credono o hanno smesso di credere e che rispondono: “Sì ma tanto funziona così” oppure, peggio ancora ”la vita è un compromesso”. Senza contare che ci sono troppi giovani che devono sperare di “avere una conoscenza che li sistemi”, che sanno che tanto il concorso pubblico lo vincerà “il figlio di”, o “l’amico di”. Infine ci sono quelli che hanno scelto di andarsene. Cosa direbbe loro se fossero qui davanti a lei?

Io conosco e incontro tanti giovani che non sono come quelli che lei descrive, so bene però che tanti, troppi , corrispondono alla sua descrizione. Ma chi è responsabile di tutto questo? Non siamo forse noi adulti che abbiamo distrutto i loro sogni e continuiamo a distruggerli? Non è forse causa di tutto questo la nostra indifferenza? Non siamo stati noi ad insegnare loro i compromessi, l’assuefazione al sistema, la raccomandazione e l’ossequio del potente? Non siamo forse noi che cerchiamo di distruggere i loro sogni forse perché noi non siamo stati in grado di difendere i nostri? Eppure io so che quando incontro questi giovani, e ne incontro tanti, in tutto il Paese, mi ascoltano per due ore e più senza che si senta un solo bisbiglio, e quello che dico loro è che io non ho niente da insegnargli. Noi adulti possiamo solo dire loro quali sono stati i nostri errori, perché non debbano ripeterli, e il nostro errore più grande è stata l’indifferenza, e il mio errore più grande è stato l’essere andato via dalla mia terra, cercando di fuggire da quello che non mi piaceva, mentre se qualcosa non ci piace bisogna lottare per cambiarlo. Non esiste “un’ altro Paese”. Tutto quello da cui sono fuggito me lo ritrovo dove vivo oggi e in una forma ancora più subdola. E dico anche loro di non lasciare questo Paese, anche se a loro non piace, perché questo Paese è loro e devono riprenderselo. E se lo riprenderanno. Loro sono, come lo erano per Paolo, la mia speranza.

Sono un morto che cammina” è la frase pronunciata da suo fratello nei giorni che hanno preceduto la sua morte. Lui sapeva eppure non si è sottratto a quest’ultima. Sapeva che la sua morte sarebbe stato un messaggio forte per le generazioni a venire e che avrebbe lasciato un’eredità non indifferente, la sua lotta, che lei ha portato avanti mosso dalla rabbia, una delle sue due droghe dalla quale ha tratto la forza di ribellarsi e di non arrendersi. Ecco, io vorrei che anche la mia generazione si indignasse. Vorrei che credesse che la forza della rabbia e dei sogni possono cambiare le sorti del proprio destino e quindi del nostro Paese.

Lei, in tutto questo, ci crede ancora?

Ci credo ancora, so che mio fratello è morto cosciente del suo sacrificio. Da vivo aveva fatto tutto quello che poteva e solo con la sua morte avrebbe potuto realizzare il suo sogno e fare quello che da vivo non gli avrebbero permesso di fare. Io non ho purtroppo la fede, l’ho persa tanti anni fa, ma credo nella grandezza dell’uomo Cristo che con il suo sacrificio ha cambiato il mondo. Da vivo non poteva farlo, morendo lo ha fatto. Paolo invece la fede l’aveva, grandissima, e la sua morte è stata una “Imitazione di Cristo”, un testo della cristianità che sicuramente aveva sempre presente, così come il Vangelo.

I giovani, la mia speranza

Palermo, 19 luglio 1992 . Il magistrato Paolo Borsellino è assassinato da Cosa Nostra, assieme a cinque agenti della sua scorta.

Quello stesso giorno, la causa di Paolo diventa quella del fratello Salvatore che da anni chiede verità e giustizia.

Ventiquattro anni dopo Salvatore Borsellino è ancora in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata. E lo sarà anche il prossimo 19 Marzo,a Verona in occasione del Convegno “Mafie a nordest. L’informazione e la criminalità”.

L’auditorium congressi del Banco Popolare vedrà infatti tra i suoi ospiti anche l’Ingegnere, fondatore del movimento 19 luglio 1992 che, dal 2008, assieme al movimento Agende rosse, opera attivamente per sensibilizzare l’opinione pubblica e i giovani in cui crede fermamente ma soprattutto per fare luce sulla strage del ’92 e sulla scomparsa dell’agenda rossa, un taccuino sul quale il fratello annotava tutto ciò che aveva scoperto dopo la morte di Falcone.

19 luglio 1992. Com’è cambiata la sua vita?

Ė come se da quel giorno avessi cominciato a vivere una vita diversa, come se non fossi più la stessa persona. A quel tempo avevo fatto una scelta di vita completamente diversa da quello di mio fratello. A 27 anni, appena laureato, appena sposato con la persona che avevo scelto come compagna della mia vita, decisi, insieme a lei, di andare via da Palermo. lontano da una città in cui la mafia la vedevi, la sentivi, capivi che avrebbe condizionato il resto della tua vita.

Decisi di far crescere i miei figli al nord, in un altro paese, lontano da tutto quello che mi opprimeva, che rifiutavo, che non mi piaceva. Il 19 luglio capii che non basta fuggire dalle cose che non ci piacciono. Se crediamo che non siano giuste e che debbano cambiare, non dobbiamo aspettare che siano gli altri a farlo.

La mafia del 1992 è la stessa del 2016?

La mafia in questi vent’anni è cambiata profondamente, e non soltanto perché, tra le organizzazioni mafiose, la ndrangheta ha preso il sopravvento rispetto a Cosa Nostra ma perché, ancora una volta, è cambiata la strategia che è ritornata ad essere, dopo il periodo stragista, di attacco frontale, dei corleonesi di Riina, quello del mascheramento, della mimetizzazione, dell’infiltrazione all’interno dell’amministrazione pubblica, dell’accaparramento degli appalti, degli scambi con la politica, anzi peggio, spesso sono gli stessi mafiosi che entrano in politica.

La mafia è diventata finanza, sfruttamento e riciclaggio degli enormi capitali accumulati grazie alle attività criminali che, una volta riciclati ed entrati nel circuito dell’economia politica, ne sovvertono l’equilibrio e ne minano le regole di normale concorrenza.

A chi acquisisce un’ attività commerciale o industriale per riciclare il denaro sporco non interessa lo sviluppo dell’attività stessa dal momento che, una volta riciclato il capitale, questa può essere dismessa o mandata in rovina per passare ad un’altra attività per riciclare e ripulire dell’altro denaro.

In una sua intervista ha parlato della necessità di creare un luogo per strappare i giovani alla mafia e alla povertà. Quale alternativa offre oggi l’Italia ai giovani a rischio?

Non credo che il nostro governo dia segno di pensare a questo problema o di avere dei progetti per creare questa alternativa. Non ne sento parlare nei programmi di governo e non ne vedo alcun segno nelle leggi che vengono approvate in parlamento. L’alternativa sono persone come Padre Puglisi ad offrirla e, per questo, spesso, ci rimettono anche la vita.

In un ambito estremamente più ridotto sto cercando di creare nel quartiere della Kalsa, a Palermo, quello dove siamo nati, una Casa di Accoglienza, la Casa di Paolo, per cercare di dare ai giovani del quartiere, dove c’è un alto tasso di fuga dalla scuola, un’alternativa alla perversa spirale povertà-emarginazione-criminalità-criminalità organizzata. E questo lo sto facendo, volutamente, senza nessun aiuto da parte delle Istituzioni affidandomi piuttosto alle donazioni dei cittadini e al al loro volontario impegno quotidiano. Siamo partiti con il doposcuola, continueremo con una scuola di informatica dove io stesso cercherò di insegnare ai giovani i mio mestiere, quello dell’uso dei computer come strumenti di lavoro, faremo quanto altro possa essere utile per raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati.

Immaginiamo per un attimo di poter riscrivere le pagine della storia. Cosa sarebbe l’Italia oggi se l’agenda rossa non fosse scomparsa?

Gli ultimi vent’anni della nostra storia nascono da una scellerata trattativa tra mafia e Stato per cui è stata sacrificata la vita di un servitore dello Stato come Paolo Borsellino. Paolo si sarebbe opposto con tutte le sue forze a questa trattativa e, quello che aveva scoperto prima che fosse ucciso, lo aveva scritto nelle pagine di quell’Agenda Rossa.

Gli ultimi vent’anni della nostra Storia, e gli stessi equilibri politici che li hanno plasmati, si basano sui ricatti incrociati legati al contenuto e ai nomi scritti su quelle pagine. Questa disgraziata Seconda Repubblica, come l’hanno chiamata, ha le fondamenta intrise di sangue, il sangue di Capaci e di Via D’Amelio e il sangue delle stragi di Via dei Georgofili e di Via Palestro che sono servite ad alzare il prezzo della trattativa stessa. Su quella scellerata trattativa c’è stata, e c’è ancora, una scellerata congiura del silenzio che è durata per vent’anni e continua a durare, e il garante di questo silenzio, è stato chi occupava la più alta delle nostre Istituzioni, la Presidenza della Repubblica. A lui infatti si è rivolto uno dei protagonisti della trattativa, l’ex ministro Mannino, per chiedere solidarietà e protezione nel momento in cui si è trovato, a suo avviso, da solo ad essere incriminato per falsa testimonianza al processo per “attentato al corpo politico dello Stato” che si svolge a Palermo.

Falcone e Borsellino. Due morti evitabili?

Piuttosto che chiedersi se quelle morti fossero evitabili è meglio chiedersi a cosa e a chi sono servite. Perché e per quale scopo, pezzi deviati dello Stato, hanno dato via libera alla mano armata dello Stato deviato di compiere quelle stragi

Si è mai sentito solo in questi anni di battaglie?

Mi sono sentito solo quando, alla prima udienza del processo di Palermo, è stata respinta la mia costituzione di parte civile, che pure, in fase di udienza preliminare, era stata giudicata ammissibile dal GUP Piergiorgio Morosini. Mi sono sentito solo quando la corte del processo Borsellino Quater, che si svolge a Caltanissetta, ha avallato il rifiuto dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a testimoniare al processo su istanza della mia parte civile. Mi sono sentito solo quando, seppur richieste, tutti vertici delle nostre Istituzioni, ad eccezione del Presidente del Senato Piero Grasso, hanno risposto con un gelido e lugubre silenzio alla nostra richiesta di esprimere solidarietà al magistrato Nino Di Matteo per le minacce di morte ricevute per voce di Totò Rina, pur ristretto al regime del 41 bis, anzi forse sarebbe meglio dire tramite la voce di Totò Riina

Parliamo della mafia al Nord Italia. Vorrei capire perché la mafia al Sud assume sempre una connotazione negativa mentre la mafia del nord, di cui spesso si ignora o si vuole ignorare l’esistenza, è considerata furbizia, una risposta ad uno Stato “assente” che ha finito per fomentare il riciclaggio di denaro e il traffico di rifiuti industriali.

Siamo davvero così soli e così sfruttati da questo Stato da poterci permettere come risposta di essere i complici stessi di un sistema corrotto? O pensa che si tratti solo di una situazione di comodo?

La mafia, o meglio la criminalità organizzata, ha avuto a lungo al sud, e in parte continua ad avere, il controllo del territorio e questo è potuto accadere perché in quelle regioni lo Stato ha abdicato alle sue funzioni, lasciandole in balia della stessa criminalità organizzata perché potessero servire da serbatoio di voti per permettere a chi ci ha governato, dalla fine della guerra ad oggi, di governare il resto del Paese. Così facendo però quel tumore, non contrastato è entrato in metastasi, ha aggredito tutte le cellule dell’organismo del mostro Stato. Oggi non c’è regione del nostro Paese che sia immune dalla penetrazione delle criminalità organizzata, anche se, in una forma diversa, più subdola e anche più difficile da riconoscere da parte dell’opinione pubblica, perché è diventata finanza, è diventata la mafia dei colletti bianchi, e gli stessi imprenditori del nord, in un momento di stretta creditizia e di difficoltà congiunturale, non guardano troppo da dove arrivano quei capitali che credono possano risanare le loro aziende, e cominciano così a mettersi il cappio al collo.

Ing. Borsellino, vorrei che ora ci concentrassimo sui giovani.

Crede che i giovani di oggi siano sufficientemente a conoscenza dei fatti?

Mi spiego meglio. Le parlo da ex- studentessa. L’ultimo anno di ogni ciclo scolastico, elementari, medie e superiori è dedicato allo studio del ‘900. Ogni anno, puntualmente, per mancanza di tempo, gli studenti e i professori lamentano l’impossibilità di studiare e raccontare tutto ciò che succede dopo il 1960, in Italia e all’estero. Ne consegue una lacuna formativa molto grave dal momento che, le nuove leve, la futura classe dirigente o operaia che sia, non conosce la storia del nostro Paese degli ultimi cinquant’anni.

Le dirò una cosa che potrebbe ferirla Ing. Borsellino, se domani facessi un sondaggio e chiedessi ad un range di giovani 20-30 anni cos’è l’agenda rossa, molti, troppi, non risponderebbero.

Mi chiedo quindi se non sia il caso di modificare il Piano dell’offerta formativa, oppure, forse, sarebbe proprio il caso di studiare la storia al contrario cominciando dalla fine, ovvero il 2016, fino ad arrivare alla preistoria per far sì che il sacrificio di suo fratello e di tanti altri non resti solo un ricordo da commemorare ma soprattutto perché, come anche lei ha detto, per combattere la mafia è necessario conoscerla. Lei cosa ne pensa?

Credo che i giovani abbiano molta voglia di sapere. di conoscere, di capire, si rendono conto che il Paese che gli stiamo consegnando è un Paese in sfacelo e vogliono capire quali ne siano le cause. Il vero problema è che, non soltanto a scuola non si studia tutto quello che è successo dopo il 1960 in Italia e all’estero. Il problema è che certe cose vengono occultate e ogni livello, alla televisione e sulla stampa. Mentre ci vengono propinate ad ogni istante e in ogni momento e, per di più in maniera spesso morbosa ,tutte le informazioni possibili sui processi ai coniugi di Erba, all’assassinio di Yara, del piccolo Loris strangolato dalla madre, degli amanti dediti dello sfregio con l’acido e quanto di più trucido sia possibile scrivere ma non una parola su un processo nel quale si cerca la Verità su una trattativa che sta all’origine degli ultimi vent’anni della nostra storia. E, se è vero che tanti giovani non saprebbero rispondere alla domanda di cosa sia l’agenda rossa, ci sono tanti troppi adulti che lo hanno voluto dimenticare e che sono convinti che si tratta di vecchie storie che qualcuno si ostina a volere ancora tirare fuori. Se c’è, come c’è, una lacuna formativa questa è voluta, premeditata, e non bastano pochi professori che, spesso affrontando l’ostilità del resto del corpo docente, si affannano a fare luce sulla nostra storia recente per potere cambiare le cose.

La mancanza di un modello da seguire, lo scarso impegno e la non volontà di diffondere valori e ideali da seguire ha indubbiamente contribuito a scaraventare i giovani in un baratro che li ha resi spesso protagonisti della cronaca cosa che, ovviamente, li allontana dalle battaglie che questo Paese necessita per migliorare. In sostanza, troppo spesso il detto Mors tua, vita mea ha la meglio sull’unione delle forze, cosa che indebolisce ancora di più il potere della massa.

Lei crede che i media abbiamo contribuito nella creazione di un non-modello da seguire? E perché?

Sicuramente i media hanno contribuito e continuano a contribuire alla creazione di un modello distorto da seguire. Ciò succede perché nel nostro Paese non esiste più un’informazione libera. Ma sia chiaro, nessuno ha messo il bavaglio ai giornalisti. Sono loro stessi che se lo mettono, per essere graditi al potere, per potere fare carriera, per sperare di arrivare alla direzione di un giornale o di una canale televisivo. Non dimentichiamoci che nel nostro Paese si è permesso che si verificasse una anomalia unica, un industriale che aveva in mano le maggiori reti televisive private che, da capo del governo, ha potuto asservire ed infiltrare anche la televisione pubblica grazie ad un patto sotterraneo, forse figlio della trattativa di cui ho parlato prima. Una forza politica che ne rappresentava la controparte, anche quando poteva farlo non ha mai voluto votare una legge sul conflitto di interessi.

Vorrei parlarle dei giovani che incontro quotidianamente. Non voglio fare di un erba un fascio, e, molto probabilmente, quelli che ruotano attorno al movimento 19 luglio 1992 non sono così. Ma le vorrei comunque raccontare di quei ragazzi che ascoltano canzoni dove la parola speranza lascia spazio alla sfiducia, finendo poi per credere in quelle parole.

Le vorrei parlare di quei ragazzi che non credono o hanno smesso di credere e che rispondono: “Sì ma tanto funziona così” oppure, peggio ancora ”la vita è un compromesso”. Senza contare che ci sono troppi giovani che devono sperare di “avere una conoscenza che li sistemi”, che sanno che tanto il concorso pubblico lo vincerà “il figlio di”, o “l’amico di”. Infine ci sono quelli che hanno scelto di andarsene. Cosa direbbe loro se fossero qui davanti a lei?

Io conosco e incontro tanti giovani che non sono come quelli che lei descrive, so bene però che tanti, troppi , corrispondono alla sua descrizione. Ma chi è responsabile di tutto questo? Non siamo forse noi adulti che abbiamo distrutto i loro sogni e continuiamo a distruggerli? Non è forse causa di tutto questo la nostra indifferenza? Non siamo stati noi ad insegnare loro i compromessi, l’assuefazione al sistema, la raccomandazione e l’ossequio del potente? Non siamo forse noi che cerchiamo di distruggere i loro sogni forse perché noi non siamo stati in grado di difendere i nostri? Eppure io so che quando incontro questi giovani, e ne incontro tanti, in tutto il Paese, mi ascoltano per due ore e più senza che si senta un solo bisbiglio, e quello che dico loro è che io non ho niente da insegnargli. Noi adulti possiamo solo dire loro quali sono stati i nostri errori, perché non debbano ripeterli, e il nostro errore più grande è stata l’indifferenza, e il mio errore più grande è stato l’essere andato via dalla mia terra, cercando di fuggire da quello che non mi piaceva, mentre se qualcosa non ci piace bisogna lottare per cambiarlo. Non esiste “un’ altro Paese”. Tutto quello da cui sono fuggito me lo ritrovo dove vivo oggi e in una forma ancora più subdola. E dico anche loro di non lasciare questo Paese, anche se a loro non piace, perché questo Paese è loro e devono riprenderselo. E se lo riprenderanno. Loro sono, come lo erano per Paolo, la mia speranza.

Sono un morto che cammina” è la frase pronunciata da suo fratello nei giorni che hanno preceduto la sua morte. Lui sapeva eppure non si è sottratto a quest’ultima. Sapeva che la sua morte sarebbe stato un messaggio forte per le generazioni a venire e che avrebbe lasciato un’eredità non indifferente, la sua lotta, che lei ha portato avanti mosso dalla rabbia, una delle sue due droghe dalla quale ha tratto la forza di ribellarsi e di non arrendersi. Ecco, io vorrei che anche la mia generazione si indignasse. Vorrei che credesse che la forza della rabbia e dei sogni possono cambiare le sorti del proprio destino e quindi del nostro Paese.

Lei, in tutto questo, ci crede ancora?

Ci credo ancora, so che mio fratello è morto cosciente del suo sacrificio. Da vivo aveva fatto tutto quello che poteva e solo con la sua morte avrebbe potuto realizzare il suo sogno e fare quello che da vivo non gli avrebbero permesso di fare. Io non ho purtroppo la fede, l’ho persa tanti anni fa, ma credo nella grandezza dell’uomo Cristo che con il suo sacrificio ha cambiato il mondo. Da vivo non poteva farlo, morendo lo ha fatto. Paolo invece la fede l’aveva, grandissima, e la sua morte è stata una “Imitazione di Cristo”, un testo della cristianità che sicuramente aveva sempre presente, così come il Vangelo.

E ci credo ancora, credo nella rabbia e credo nella speranza, e ci credo perché la speranza l’ avevo persa e quando ho ricominciato a parlare è stato soltanto per rabbia, ma è grazie a questa rabbia che è rinata la speranza ed è una speranza che non morirà mai più, perché finalmente ho capito quale era la speranza di Paolo, quella che nell’ultimo giorno della sua vita gli faceva scrivere, alle cinque del mattino “Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.

E ci credo ancora, credo nella rabbia e credo nella speranza, e ci credo perché la speranza l’ avevo persa e quando ho ricominciato a parlare è stato soltanto per rabbia, ma è grazie a questa rabbia che è rinata la speranza ed è una speranza che non morirà mai più, perché finalmente ho capito quale era la speranza di Paolo, quella che nell’ultimo giorno della sua vita gli faceva scrivere, alle cinque del mattino “Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.

E SE CAMBIASSI TUTTO?

Felicità2

Verona, 11/02/2015

Questo è un blog dedicato al lavoro. A chi ce l’ha ma lo odia, a chi lo cerca e non lo trova, oppure a chi ne ha uno ma non è retribuito. Questo lo sapete già.

Il discorso lavoro è un argomento che abbiamo sviscerato alla grande in questi tre anni. Qualcuno ha tentato di mandarmi il suo curriculum, altri speravano che i miei contatti potessero aiutarli nella ricerca di un impiego. Purtroppo non è così, mi sarebbe piaciuto, ma non ho la bacchetta magica, anzi.

Non è facile nemmeno per me, ve lo assicuro. Avere la possibilità di scrivere è una valvola di sfogo, soprattutto per una non sportiva come me, un modo come un altro per incanalare le energie, per condividere i dubbi esistenziali che mi accompagnano dal mio primo vagito o forse pure da prima. Ma non è tutto.

Ma non basta per mettere il silenziatore a quella vocina maledetta che mi rimbomba nelle orecchie : Alessia…..sono qui, ci spieghi cosa diavolo vuoi fare ma soprattutto cosa cavolo sai fare?”

In genere la zittisco con un buon bicchiere di vino, due chiacchiere, una condivisione di prospettive frustranti con altri soggetti sensibili all’argomento che in genere si traduce in un brainstorming al femminile con deduzione finale: “Bottone, Scienze Politiche non serve a niente. Chirurgia estetica, ecco cosa avremmo dovuto fare. Un po’ come dice Accorsi in Santa Maradona per capirsi.

È il caos. Parliamoci chiaro. Ho letto e riletto un articolo tratto dal blog waitbutwhy.com che per diversi giorni è stato condiviso su Facebook. La traduzione:” Perché la nostra generazione è infelice”.

Infelice? Oddio, allora qualcuno lo ammette. Mi fanno sorridere quelli che dicono “la felicità è guardare il sole che tramonta, abbracciare un bambino, leggere un libro” etc.

Nessuno dice: “felicità = libertà” oppure “felicità = amare ciò che si fa”. Perché? Perché se applicassimo tali principi il mondo sarebbe finito. O almeno quella parte di mondo che pensa solo a produrre.

Comunque la felicità non è solo questo. Non lo dico io, lo dice Abraham Maslow, mica pizza e fichi. Ma torniamo all’articolo.

Non mi piace e non sono d’accordo. Perché il problema è sempre quello.

Ci siamo finalmente resi conto che ci è stato venduto fumo che non è vero che c’è spazio per tutti. Non tutti avranno una casa, un lavoro e forse una famiglia. Non è nemmeno vero che lavorando sodo potremo saltare da una classe sociale all’altra, (si classe sociale, anche se il termine non vi piace, sappiate che siamo tornati indietro) . La verità è che le risorse non sono infinite e che la disoccupazione di taluni è collaterale al mantenimento di uno stato di benessere di altri,  per non parlare dell’arricchimento di una piccolissima percentuale di popolazione, a discapito di altri, quelli che si ritrovano incatenati all’ultimo gradino della piramide o forse sotto la piramide stessa.

In sostanza l’autore, ma come lui tanti altri ci fornisce tre magnifici consigli che ho commentato, per puro divertimento.

1) Rimani selvaggiamente ambiziosa.

Si ma portate con voi i cerotti perché quando cadrete vi dovrete leccare le ferite da soli.  Ambiziosi sì, ma se “questo matrimonio non s’ha da fare”, trovate un piano b, che vi piaccia o che almeno non vi faccia venire i conati di vomito al solo pensiero, aggiungo io.

2) Basta col pensare di essere speciali.

Ma come? Ci avete riempito di manuali e teorie psicologiche nonché training su come sentirsi dei tipi veramente cool e veramente magnifici e ora, così di punto in bianco, ci dite che quelle teorie erano tutte fandonie. Un minimo di preavviso, esigo una raccomandata, il tempo di abituarmi perlomeno.

3) Ignora tutti gli altri. Il giardino degli altri è sempre più verde. 

Facile da dirsi se il lui in questione ha il giardino e voi vivete in uno scantinato. Scherzi a parte, questo è vero, non perdiamo tempo a invidiare gli altri. Non ne otterremo nulla. Però, se una sera, vi sentite belli incazzati con il mondo e avvertite il bisogno di iscrivervi a box per questo, beh, sinceramente non vi biasimo.

Perché vi ho fatto questo prologo? Perché è dura ragazzi, perché a  volte ho dato per scontato che la mia fiducia nel futuro e il mio entusiasmo sarebbero rimasti con me per sempre. E ho sbagliato. La fiducia è l’entusiasmo sono come la rosa del piccolo principe . Vi ricordate?

“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

Ecco, allora io spero solo che il giorno in cui barcollerete, il giorno in cui vi chiederete, se serve davvero ciò che state facendo, il giorno in cui vi verrà voglia di sedervi con il sedere a terra e disperarvi un po’, vi ricorderete di leggere questo post, vi farete due risate, farete un po’ di sciopero, fingerete di essere disadattati sociali, ma poi tornerete a combattere.

E non di certo per arrivare in vetta, e nemmeno per mettervi un abito Prada e trattare male il team che un giorno “comanderete” così come è stato fatto con voi.

No, mi riferisco ad altro.

A quel magico giorno in cui, alla domanda, cosa vuoi fare da grande, risponderete in modo sincero, liberandovi delle aspettative degli altri, dei desideri dei genitori, dei sogni di gloria, e tenterete di inseguire la vostra felicità, qualunque essa sia.

Ci vuole coraggio per restare, ce ne vuole ancora di più per cambiare.

E se, pensate di essere solo dei pazzi sognatori, guardatevi questo video.

La storia di Mattia

Vivere a Montemignano

Poi pensateci. Oggi è un ottimo giorno per essere felici, domani, si vedrà.

Alessia

Grazie cari lettori!

Cari lettori,

RecensioneOrmai è passato più di un mese dall’uscita del libro e, dopo aver ricevuto tanti vostri messaggi, sento il bisogno di fare dei ringraziamenti. Cercherò di essere breve e concisa anche se, sono davvero tante le persone che mi hanno accompagnata in questi 40 giorni di corse folli e di promozione.

Innanzitutto ringrazio Marzia Nicolini. In seguito alla pubblicazione del suo articolo mi hanno scritto tantissimi ragazzi e ragazze ed è persino arrivato un invito per presentare il libro in Toscana.

RadioGrazie a Cristina che mi scrive dalla Francia raccontandomi che ha trovato un bel lavoro e a Rosa per il suo entusiasmo contagioso e ai ragazzi di Deejay TV che mi hanno intervistata. Grazie a Mario di M2o, se quell’intervista non fosse mai avvenuta non sarebbe successe molte belle cose. Grazie a Lidia Baratta de Linkiesta per la sua simpaticissima recensione e a Vezia che mi ha scritto dopo aver letto la mia intervista per Bianco Lavoro, ad Anna per il suo magnifico articolo comparso su Libri e parole e a tutte le ragazze che si sono occupate di recensire il libro per blog, riviste e testate. Siete tante e non posso citarvi tutte.

Grazie a tutti coloro che mi scrivono dopo aver letto il libro, questo è in assoluto la miglior cosa che possa succedere nella vita di uno scrittore, che non guadagna ‘na lira ma almeno può godere della stima e del calore dei suo lettori.

Come tutti saprete già, se un libro non è pubblicizzato è morto, soprattutto perché i Dan Brown e i Bruno Vespa, peraltro già conosciuti, troneggiano sugli scaffali in bella vista, mentre gli scrittori emergenti lottano persino per avere un posto nel magazzino della libreria.

Grazie a voi e a tutti coloro che si sono impegnati per diffondere il libro oppure acquistandone una copia o semplicemente condividendo un link.

Spero di avervi regalato un po’ di buonumore con le mie 140 pagine e non vi nego che sto già lavorando ad un terzo libro. Dove trovo il tempo mi chiederete? Lo si trova eccome quando si ama fare qualcosa, sempre.

E ricordate, quando tutto vi sembrerà perso, non disperatevi, ma complimentatevi con voi stessi. Peggio di così non potrà certo andare, quindi perché non rimettersi in gioco e ricominciare a fare qualcosa degno di essere chiamato lavoro?

Ps: Grazie anche a Luigi Fracchiolla che mi ha appena mandato il link della sua canzone “Perennemente trentenne”, perfettamente in linea con il pensiero di Danordasud. A lui e a tutti voi in bocca al lupo.

A presto

Alessia

Finalmente Settembre

Seis meses para siempreOggi ho provato a riordinare quel campo minato che è la mia stanza e ho trovato un regalo del 14 maggio 2007, il mio ultimo giorno da studentessa Erasmus. Il giorno dei saluti una mia amica siciliana mi ha regalato un’agenda chiedendomi di scrivere:” Este libro que todavia no has escrito pero ya existe en tu corazòn y en el de las personas que te han conocodio- Dedicado a ti y a ellas“.

Non so, non ho mai capito perché mi ha chiesto di scrivere un libro su tutti noi, anche perché sette anni fa non sapevo nemmeno di voler fare la scrittrice. O forse volevo farlo, ma mollavo ogni volta, non ci credevo abbastanza. Eppure ci aveva visto giusto.

E allora, siccome mancano solo 23 giorni all’uscita del mio libro Papà mi presti i soldi che devo lavorare ho deciso di rispettare la promessa, dedicando a tutte loro questo manuale che inizia così:”Sono Alessia Bottone, classe 1985. Il mio soprannome è Black & Decker perché martello di brutto fino a quando non ottengo ciò che desidero. Ho una laurea in Scienze Politiche Istituzioni e Politiche per la Pace e i Diritti Umani, ovvero in Scienze della Disoccupazione a lungo termine. Il titolo l’ho ottenuto non frequentando l’università bensì girando il mondo, e presentandomi a Padova solo durante la sessione degli esami. I banchi non mi sono mai piaciuti e ho sempre pensato che la pratica fosse meglio della teoria.

Amo viaggiare, e ho tentato la mia prima fuga a quattro anni quando ho “preso in prestito” cinquantamila lire che mio papà aveva nascosto nella credenza. Ho salutato mia nonna che abitava nell’appartamento di fianco, chiedendole di lasciare detto ai miei che sarei partita per un po’ approfittando del fatto che si erano addormentati. Mi hanno bloccata
subito. Ci ho riprovato 17 anni dopo ed è andata bene”.

Copertina libro
Copertina del libro

Qualcuno deve aspettare di avere 70 anni prima di raccontare la sua storia, io l’ho racchiusa in questo libro, per riderci sopra, ma soprattutto per riunire tutte quelle avventure di cui tanti di voi fanno parte per raccontarle un giorno ai nipotini. Perché se è vero che il percorso è stato travagliato, pieno di insidie, di giornate trascorse a chiedermi “e adesso come me la cavo” è anche vero che ho avuto la possibilità di vivere esperienze incredibili.

E ne sono fiera, perché l’ho fatto senza un Euro, e senza conoscenze, e senza raccomandazioni, anche perché, lo ammetto, con il caratterino che mi ritrovo è più facile che mi diano un calcio più che una “spintarella”.

Colgo quindi l’occasione per ringraziare tutti i ragazzi e ragazze che ho conosciuto durante il mio girovagare per il mondo. Mi hanno insegnato a vivere con lo zaino in spalla, a mollare i tacchi e vivere senza scarpe, a montare una tenda, dormire e a dormire in un camping anni ’30 come questo. Non ho scordato chi mi ha offerto il suo divano mentre cercavo casa e lavoro. E nemmeno quel caffè siriano che bevevo tutti i pomeriggi con i profughi del centro di accoglienza in Svizzera discutendo di politica, fumando sigarette e giocando a scacchi.

CampingApprofitto anche per ringraziare mio papà per quel messaggio che mi ha inviato mentre ero sola e in cerca di un impiego a Parigi gli chiedevo cosa dovevo fare? e lui candidamente mi ha risposto:”Tu hai mille risorse, futtettenne”. E così ho fatto.

Non diventerò un novello Neruda, e nemmeno una giornalista di successo. Però mi sono divertita e ho realizzato il mio seppur piccolo desiderio. In fondo non mi interessa arrivare da nessuna parte, è il viaggio la parte più divertente.

SarajevoSognate, credeteci, rischiate e credetemi: Il master e l’Università prestigiosa fanno la loro parte sul cv, ma la passione, quella non la si compra, la si impara e farà gola a colui che un giorno vorrà assumervi, anche in tempi neri come questi.

In bocca al lupo.

Alessia Bottone